Obiettivi
-
Saper riconoscere precocemente una forma non usuale di diabete che, insorgendo negli adulti, assume presto o tardi le caratteristiche del diabete tipo 1.
-
Saper individuare la malattia anche senza l’ausilio dei dati immunologici necessari alla diagnosi, partendo dai peculiari dati clinici.
-
Saper gestire la malattia nelle fasi iniziali, contestualizzandola nei vissuti e nelle condizioni psicofisiche degli ammalati.
LADA d’atleta
Enrico non è un mio assistito ma il fidanzato storico (15 anni) di Elisa, una mia affezionata cliente.
Avendola curata sin dall’infanzia da medico di famiglia, faccio fatica a ravvisare ora, in quella che era una bambina aggraziata, una patologa di pregio e già affermata professionista.
Mi avvisa che dovrà disturbarmi per un’emergenza che la preoccupa assai. Il suo fidanzato, un “fusto” muscoloso e prestante, ha effettuato per caso una glicemia con il sensore del padre, diabetico tipo 2, trovando un valore esageratamente alto.
La fidanzata lo ha indotto a un controllo di laboratorio che conferma sostanzialmente il dato glicemico (330 mg/dl), svelando una glicosuria notevole.
Enrico si presenta da me spaventato e afferma di non avvertire malesseri, tranne una sete abnorme da diverse settimane e un discreto dimagramento. Ha trentacinque anni, è alto 1,78 cm, pesa 72 kg, ha un colorito bruno per l’abbronzatura, una muscolatura ipertrofica e tonica per la sua dedizione pluriennale a vari tipi di sport e alla pratica quotidiana della palestra.
Da qualche mese è particolarmente soddisfatto di aver trasformato la sua condizione di precario, pur con una bella laurea in Economia, in quella di funzionario di banca, con un contratto definitivo.
Non ricorda nessuna malattia degna di nota, anzi proclama di aver goduto sempre di ottima salute.
All’esame obiettivo si nota che il tessuto sottocutaneo è di spessore ridotto in tutti i distretti e vi sono lievi segni clinici di disidratazione; la pressione arteriosa è di 110/75, la frequenza cardiaca di 68 battiti al minuto.
Nessuna anomalia emerge dall’esame dei vari apparati, se non i segni di un recente e rapido dimagramento.
Tutti i parametri comuni di laboratorio, tranne la glicemia, la glicosuria e l’emoglobina glicosilata (9,00 mg), sono normali. Non c’è chetonuria.
Enrico afferma di aver attribuito il dimagramento all’intensa attività fisica di preparazione atletica. Ricorda anche di aver avuto una cattiva qualità di sonno a causa di frequenti risvegli notturni per urinare nelle ultime settimane.
Quando lo informo che tutte queste condizioni sono attribuibili a una situazione di scompenso metabolico che risale certamente a qualche mese, si preoccupa ulteriormente.
Domande
-
È questo l’esordio tipico di un diabete dell’adulto?
-
Questo tipo di persona assomiglia a quella che manifesta un diabete tipo 2?
Risposte
-
Difficilmente un diabete dell’adulto si manifesta con glicemie così elevate e glicosuria a questa età, a meno che la malattia non sia stata presente e ignorata per molti anni e non vi sia stata una riduzione di peso progressiva in qualche anno, come conseguenza dello scompenso e dell’insulino-carenza relativa.
-
Enrico è uno sportivo, non è stato mai in sovrappeso. Non si può certo dire che sia tipicamente un candidato al tipo 2, nonostante la familiarità paterna.
1° step
Con garbo cerco di preparare Enrico al fatto che dovrà iniettarsi, da subito, quattro dosi d’insulina al dì e che, soprattutto, dovrà imparare a redigere un diario glicemico per studiare l’evoluzione dello scompenso e la titolazione delle dosi insuliniche.
Egli conosce il diabete e il modo di curarlo per l’esperienza domestica di seguire la malattia paterna, un diabete tipo 2, che si è complicato drammaticamente di recente con una severa cardiopatia ischemica, uno scompenso cardiaco e una preoccupante aritmia che non sa precisare.
Era precedentemente convinto che una dieta ipocalorica e ipoglucidica, qualche compressa di ipoglicemizzante orale, avrebbero potuto controllare facilmente anche la sua malattia.
Vedo la sua sorpresa nell’apprendere che non dovrà assolutamente ridurre né le calorie né la quota dei carboidrati, ma solo modificare qualche abitudine voluttuaria alimentare, abolendo lo zucchero e i dolci, i gelati e le merendine preconfezionate.
Una repentina resistenza si manifesta quando consiglio di interrompere il training atletico intensivo per dieci giorni, poi si rassicura quando gli garantisco lo stesso tenore di allenamenti dopo la temporanea sospensione.
In attesa di studiare meglio la situazione, suggerisco di fare le pratiche con il proprio medico di famiglia per avere i presidi diagnostici per la malattia e di procurarsi un’esenzione per diabete. Ecco però che, incoraggiato dalla fidanzata, finalmente Enrico vince le ultime remore e mi confida che il motivo principale per cui mi consulta è proprio il fatto che non vuole informare il suo medico di famiglia di questa sua nuova condizione.
A suo dire il medico, intimo amico dei suoi genitori, potrebbe tradirsi rivelando a qualcuno di loro la sua condizione di diabetico, cosa che egli vuole evitare in maniera assoluta. Il fatto è che è stato allevato con mille ansie per la sua salute fin dall’infanzia e, pur sano, fatto oggetto per anni di eccessive attenzioni e divieti fino all’epoca attuale. In ogni caso le cattive condizioni cardiache del padre lo persuadono a tener nascosta la sua nuova malattia.
Per questo motivo vuole acquistare anonimamente i presidi, le insuline e quanto necessario per le cure.
Prescrivo una terapia intensiva con tre dosi di rapida ai pasti principali e un bolo di insulina ritardata prima di andare a letto, mi assicuro della capacità di Enrico di maneggiare una penna per la somministrazione di insulina e faccio somministrare davanti a me la prima dose nel sottocute dell’addome.
Dopo aver raccomandato un’assunzione di liquidi superiore alle abitudini, una dieta di 2600 kcal, normoglucidica-lipidica-proteica, consegno un diario glicemico e lo invito a contatti telefonici quando necessario e a un nuovo colloquio dopo 4 giorni.
Domande
-
Quale ipotesi diagnostica ho formulato?
-
Perché un approccio terapeutico così aggressivo?
-
Perché ho prestato una massima attenzione empatica alla comunicazione?
Risposte
-
Dalla presentazione clinica la diagnosi più probabile mi sembra quella di un diabete tipo 1, insorto in un adulto.
-
Valori superiori a 300 mg di glicemia, la disidratazione e l’ipotesi diagnostica iniziale di tipo 1 impongono questo tipo di approccio.
-
La prescrizione di una terapia insulinica intensiva in un soggetto che si riteneva sano fino ad allora presuppone un’abilità di comunicazione che va al di là del “saper fare” del buon medico. Fondamentale l’attenzione al controllo dei messaggi di ritorno.
2° step
Enrico è ancora preoccupato della gestione di questa sua impegnativa malattia; ancor di più lo stressa il dover praticare le iniezioni e il monitoraggio glicemico, senza che i genitori, con i quali coabita, se ne accorgano. Anzi, qualche appuntamento importante per le determinazioni glicemiche viene mancato sia per questo motivo sia per il fatto che, durante le ore del nuovo e sospirato lavoro, non è agevole appartarsi per fare una glicemia capillare. Afferma di sentirsi meglio ed è meravigliato come le quattro piccole dosi insuliniche praticate lo abbiano portato in pochi giorni alla piena normalità dei profili glicemici quotidiani.
Dopo averlo rassicurato che presto avverrà un miglioramento generale e che le glicemie torneranno ad avvicinarsi a quelle normali, ritengo sia arrivato il momento per approfondire con lui alcuni aspetti di questa manifestazione morbosa e, dopo aver ridotto le dosi insuliniche, tolto il bolo serale e averlo invitato a nuovo controllo dopo una settimana, gli manifesto le mie impressioni cliniche. Giacché ritengo improbabile che la malattia paterna possa essersi manifestata in lui in queste modalità alla sua età, lo invito a fare qualche indagine che potrà confermare i miei sospetti di una forma non usuale di diabete mellito dell’adulto.
Prescrivo il dosaggio degli anticorpi antidecarbossilasi dell’acido glutammico (GAD) e del peptide C a digiuno e dopo stimolo glucagonico, la ricerca degli anticorpi anti-tirosin-fosfatasi (IA2), antitireoglobulina, antiperossidasi tiroidea (TPO) e anticitoplasmatici delle cellule insulari (ICA) 3 4 .
Nel successivo incontro a cadenza settimanale, si ottiene un controllo sempre più accurato del diabete. Enrico riferisce qualche episodio sporadico di ipoglicemia che mi induce a riconsiderare l’uso dell’insulina.
Le condizioni generali sono soddisfacenti, le performance sportive sono addirittura migliorate. Così si comincia a introdurre la repaglinide progressivamente ai pasti, nella convinzione che la funzione insulare spontanea sia sufficientemente ripristinata, lasciando un bolo serale di insulina ritardata.
I risultati sono così soddisfacenti che la settimana successiva cade anche l’ultima somministrazione serale di insulina.
Negli incontri settimanali chiedo più volte se ha effettuato gli esami richiesti, ma riferisce che non è stato possibile eseguire la maggior parte degli anticorpi antipancreatici perché nessun laboratorio in città è in grado di eseguirli. Avrebbe dovuto recarsi a Catania, ma sia per il recente impegno lavorativo sia per la sua volontà di non allarmare i familiari, rimanda di volta in volta.
Cinque mg al giorno di repaglinide sembrano influenzare proficuamente i profili glicemici. Dopo una settimana aggiungo 500 mg di metformina due volte al dì in aggiunta ai pasti principali.
A compenso raggiunto, credo sia arrivato il momento di richiedere il dosaggio del peptide C e la sua risposta al glucagone, gli anticorpi antitireoglobulina e antiperossidasi, gli unici praticabili nei laboratori della città.
Domanda
Perché, nonostante un’ipotesi di diabete tipo 1 insorto in età adulta, si abbandona così presto il trattamento insulinico?
Risposta
Il pronto rientro all’equilibrio dei valori glicemici, la frequente comparsa di ipoglicemie con dosi molto basse di insulina, a pochi giorni dalla diagnosi, fanno propendere per una ripresa rapida dell’insulino-secrezione spontanea. Nonostante le sensazioni iniziali, Enrico risponde bene agli ipo-orali per un anno e mezzo; anche il supporto di un bolo serale di cinque unità d’insulina si dimostra in grado di indurre ipoglicemia nelle prime ore del mattino e viene presto abbandonato.
Se si fosse trattato realmente di un diabete giovanile, la terapia insulinica avrebbe avuto indicazione per tutto il periodo della “luna di miele”, perché non c’è miglior tutela della residua capacità della beta-cellula.
3° step
Enrico ora è veramente sollevato, sta bene, ha una visione del suo futuro più ottimistica, solo per il fatto di non praticare più insulina. Porta gli esami concordati: il peptide C è di 2,02 ng e risponde adeguatamente allo stimolo glucagonico, negativi gli anticorpi antitireoglobulina e antiperossidasi.
Nel congedarlo, ritengo utile istruirlo su un accurato monitoraggio della malattia e lo invito a contattarmi appena si manifestino alterazioni dei profili glicemici.
In effetti, per sei mesi sia il monitoraggio glicemico sia le determinazioni dell’emoglobina glicosilata sono rassicuranti. Il peptide C a digiuno e dopo glucagone presenta valori di poco superiori a quelli minimi.
Il paziente è di certo altamente compliante sia per lo stile di vita sia per l’adesione alla dieta. Pesa 76 kg, ha una grande massa muscolare e ha ridotto di poco spontaneamente il surmenage atletico.
Unico problema, la non esecuzione della batteria di esami volti a definire l’attività autoanticorpale verso la glutammico-deidrogenasi GAD e IA2, da una parte per le difficoltà contingenti prima esposte, dall’altra, credo, per una resistenza psicologica legata alla paura di una conferma che avrebbe contribuito a pregiudicare le sue sicurezze e l’immagine di sé.
Per altri sei mesi ha un buon controllo della malattia e l’emoglobina glicosilata varia da 5,8 a 6,5. Qualche sospetto desta il verificarsi di rialzi glicemici transitori che rientrano nel giro di poche ore.
Un lunedì si presenta allarmato in studio: le glicemie si sono tutte elevate progressivamente nelle ultime settimane e, spesso, al mattino superano i 200 mg/dl.
Propongo di aumentare a 6 mg la repaglinide e a 2,5 g al dì la metformina.
Per circa un mese il controllo delle glicemie si ripristina. Il mese successivo Enrico porta un diario glicemico: vi è una maggiore irregolarità della glicemia con picchi di poco inferiori ai 200 mg nel postprandiale che si fanno più frequenti. L’emoglobina glicosilata è di 7,2 mg/dl. Il peso è stabile e non avverte alcun sintomo.
Il mese successivo vede un progressivo deteriorarsi del compenso. La comparsa di glicemie a digiuno alterate, insieme a una maggiore irregolarità dei valori postprandiali, si accompagnano a uno stato d’allarme di Enrico. La prescrizione di un bolo serale di insulina isofano che propongo gli sembra una conferma delle sue preoccupazioni.
Malgrado quest’ultimo aggiustamento il compenso rimane scadente, l’emoglobina glicosilata sale a 8,2, è dimagrito di 2 kg in due mesi. Il peptide C a digiuno è di 1,1 ng. Dopo glucagone si eleva di un valore inferiore al minimo.
Nel giro di alcune settimane, con grande disillusione di Enrico, che aveva sperato in una remissione più lunga, si ritorna alla terapia insulinica intensiva e si sospendono gli ipoglicemizzanti orali.
Domande
-
Era prevedibile questa evoluzione verso l’insulino-dipendenza?
-
Non è stato un errore usare gli ipoglicemizzanti orali?
Risposte
-
Considerato l’esordio e le caratteristiche del paziente francamente sì.
-
Non ci sono evidenze, in casi come questo, che l’uso degli ipoglicemizzanti orali possa accelerare l’apoptosi delle betacellule. In ogni caso ai primi segni di peggioramento della situazione si è prontamente introdotta una terapia insulinica intensiva.
Epilogo
La delusione di Enrico per essere tornato insulino-dipendente, in un periodo abbastanza breve dalla diagnosi, di certo comporta una serie di alterazioni delle sue relazioni personali, lavorative e familiari. Il suo nervosismo si percepisce sensibilmente.
Nel redigere il diario glicemico, molte volte non sa spiegarsi perché compaiano valori elevati, anche a parità di regime calorico, attività fisica e di unità insuliniche. Conosce sommariamente i concetti di “indice glicemico” degli alimenti, ma non sa correlarli ai picchi glicemici.
Decidiamo di rivederci dopo tre settimane… Non si è mai più ripresentato da allora. Pensando di averlo deluso come medico, approfitto della visita di un amico comune, informatore scientifico del farmaco, per chiedere sue notizie. Un altro colpo di scena! Dopo 15 anni di fidanzamento Enrico ha lasciato per sempre la sua ragazza, quando già si profilava il matrimonio. Farsi curare ancora per amicizia dal medico della fidanzata forse non gli sembra opportuno.
Considerazioni diagnostiche
Seppure con i limiti di non aver documentato con gli autoanticorpi la condizione della secrezione insulinica, non ho mai dubitato, fin dall’inizio, che in questo specifico caso l’ultima possibilità diagnostica sarebbe stato il diabete tipo 2 5 . Anzi, la presentazione clinica richiamava da vicino il diabete tipo1 io stesso mi sono meravigliato della repentina ripresa della secrezione insulinica e dalla risposta agli agenti ipoglicemizzanti che, per un anno e mezzo, hanno controllato l’omeostasi metabolica del paziente.
La storia clinica si chiarisce definitivamente negli ultimi quattro mesi, confermando l’ipotesi iniziale di un LADA (Latent Autoimmune Diabetes in the Adult) 8 .
Se il periodo di controllo della malattia con la terapia orale si fosse protratto per meno di sei mesi, la diagnosi più appropriata sarebbe stata quella di un diabete tipo 1, insorto in età adulta, con una “luna di miele” più lunga del normale 1 . Un tipico LADA 7 ha in genere un periodo più lungo di intervallo libero da terapia insulinica, una presentazione meno eclatante, non necessita di terapia insulinica alla diagnosi, ha una sensibilità alla terapia orale che può estendersi fino a cinque o sei anni 2 6 . D’altronde, spesso l’esperienza ci fornisce le prove che le condizioni della pratica clinica non coincidono con le schematizzazioni che pur ci aiutano a distinguere le varie forme di diabete. La mancanza di tutti i correlati fenotipici e clinici del diabete tipo2, il dimagramento, l’assenza di storia di sovrappeso o obesità precedente, l’intensa attività fisica abituale, insieme all’età giovanile, mi hanno fatto escludere fin dall’inizio che questa malattia potesse diagnosticarsi come un diabete tipico dell’adulto. Per la verità, ho contribuito io stesso qualche volta a incrementare gli aspetti ansiogeni del vissuto psichico della malattia di Enrico, prospettandogli più volte, ed a ragione, i miei timori per una ripresa dei segni di insulino-carenza, anche quando apparentemente il controllo con gli agenti ipoglicemizzanti orali era ottimale. Infatti, un esordio con dimagramento in un normopeso atletico e molto attivo dal punto di vista muscolare, i valori glicemici superiori a 300 mg all’esordio, mi hanno fatto temere non poco che la malattia di Enrico fosse un diabete tipo 1, e la scelta degli ipoglicemizzanti è stata fatta con timore, proprio perché temevo di accelerare l’apoptosi beta-cellulare con i secretagoghi. Per quanto riguarda la correttezza dell’approccio terapeutico iniziale non nutro dubbi. Non era possibile mantenere il trattamento insulinico a causa della precoce comparsa di ipoglicemia anche con dosi di 4 unità a pranzo e il successivo buon controllo delle glicemie con la repaglinide lo conferma. Proprio in un caso come questo la dimostrazione di una GAD e IA2 positività, un HLA-DR3 o DR4 positivi, insieme al monitoraggio semestrale del peptide C, avrebbero dato ulteriore conferma ai dubbi iniziali.
Mi sembra corretto affermare che nulla, come queste forme di diabete, LADA o NIRAD (Non Insulin Requiring Autoimmune Diabetes), dimostri maggiormente la condizione di contiguità tra i diabetici tipo 1 e una significativa quota di diabetici tipo 2 che, più velocemente di altri, si avviano all’insulino-dipendenza.
Nella fattispecie della malattia di Enrico, le somiglianze con il diabete giovanile sono state più spiccate e, secondo alcuni, potrebbe essere classificato come un LADA 1, per contrapporlo all’altro estremo del LADA 2, che vede diabetici più fenotipicamente vicini al tipo 2 con insulino-resistenza e che si avviano all’insulino-dipendenza in tempi molto più lunghi 1 7 .
Se fossero meno costose e più disponibili, le determinazioni degli anticorpi anti-insulari potrebbero identificare anticipatamente le coorti di pazienti che, più presto di altre, andranno incontro al trattamento insulinico, anche nell’ambito di forme tipiche di diabete tipo 2, dove la presenza di attività autoanticorpale è pur tuttavia possibile, anche se più rara 5 .
Resta consolidato che a volte un po’ di “fiuto clinico” può sostituire il ricorso al laboratorio.
Bibliografia
-
Pozzilli P, Di Mario U. Autoimmune diabetes not requiring insulin at diagnosis (latent autoimmune diabetes of the adult): definition, characterization, and potential prevention. Diabetes Care 2001;24:1460-7.
-
Buzzetti R, Capizzi M, Tuccinardi D. Il diabete autoimmune dell’adulto (LADA): stato attuale delle conoscenze. G It Diabetol Metab 2007;27:23-8.
-
Zimmet PZ, Tuomi T, Mackay IR, Rowley MJ, Knowles W, Cohen M, et al. Latent autoimmune diabetes mellitus in adults (LADA): the role of autoantibodies to glutamic acid decarboxilase in diagnosis and prediction of insulin dependency. Diabet Med 1994;11:299-303.
-
Turner R, Stratton I, Horton V, Manley S, Zimmet P, Mackay IR, et al. UK Prospective Diabetes Study (UKPDS) Group: UKPDS 25: autoantibodies to islet-cell cytoplasm and glutamic acid decarboxylase for prediction of insulin requirement in type 2 diabetes. Lancet 1997;350:1288-93.
-
Leslie RD, Williams R, Pozzilli P. Type 1 diabetes and latent autoimmune diabetes in adults: one end of the rainbow. J Clin Endocrinol Metab 2006;91:1654-9.
-
Fourlanos S, Dotta F, Greenbaum CJ, Palmer JP, Rolandsson O, Colman PG, et al. Latent autoimmune diabetes in adults (LADA) should be less latent. Diabetologia 2005;48:2206-12.
-
Buzzetti R, Locatelli M, Giaccari A, Petrone A, Di Pietro S, Suraci C, et al. Identification of two subtypes of adult-onset autoimmune diabetes (The NIRAD Study). Diabetologia 2006;49(Suppl.1):180.
-
Vatay A, Rajczy K, Pozsonyi E, Hosszufalusi N, Prohaszka Z, Fust G, et al. Differences in the genetic background of latent autoimmune diabetes in adults (LADA) and type 1 diabetes mellitus. Immunol Lett 2002;84:109-15.
|